Costruito per essere al servizio del V centro siderurgico italiano, da localizzare in Calabria e mai realizzato, il porto di Gioia Tauro costituisce una nuova ‘geografia artificiale’ all’interno di un paesaggio che fino agli anni ’70 sembrava concluso nella sua configurazione rurale originaria. Esso s’inserisce in questa realtà, dilatando i rapporti di scala tradizionali e stravolgendo gli stessi apparati iconografici e figurativi dei paesaggi locali. Divenuto uno dei porti più importanti del Mediterraneo per il transhipment, esso, dal punto di vista territoriale, rimane un mega frammento di un sistema incompleto. La sua estensione si sviluppa dentro un contesto ridotto a non luogo, un paesaggio in rovina, desertificato dei suoi aspetti ambientali e naturalistici più identitari, ormai in perenne attesa di essere completato: l’area industriale retrostante, i centri urbani di Gioia Tauro e San Ferdinando, marginali ai lati costieri del recinto, il sistema infrastrutturale di collegamento locale e nazionale.
Al fascino del paesaggio tecnologico contemporaneo delle 22 mega torri del porto, nuovi simboli dello skyline del golfo di Gioia Tauro, segnato dai due iconemi di Monte Poro a nord e Monte Sant’Elia a sud, corrisponde un retro porto dismesso, interrotto e frammentato nei suoi aspetti produttivi e insediativi.
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