Il virus SARS-CoV-2 segna l’avverarsi di una profezia di esplosione pandemica,
annichilendo quelle certezze che sostenevano la nostra visione
del mondo. Una dimensione che ci costringe a confrontare con lo sconosciuto
e muta la percezione della terra come custode della nostra storia,
spazio conosciuto e dunque sottoposto al controllo dell’homo sapiens,
rispetto a un ignoto per secoli rimandato in un altrove. L’atmosfera di
sospensione provocata dal virus segna un momento nella storia dell’umanità,
imponendoci altri punti di vista, derivati dalla consapevolezza
della nostra vulnerabilità. Abbiamo dunque, acquisito che «il nostro avvenire
non è teleguidato dal progresso storico» (Morin 2000) ancor meno
dalle ingegnerie economiche, dai criteri di efficientismo o dal libero
mercato,conducendoci a un dialogo con l’incertezza del futuro. In questa
condizione si registra uno straordinario bisogno di conoscenza che ha
portato a un’impennata delle visite digitali a musei e spazi dell’arte.
Virtual tour, collezioni aperte, mostre in digitale, visite guidate, pillole
in streaming, ogni realtà culturale ha incrementato i servizi digitali ritratteggiando
la percezione dell’arte e le relazioni di prossimità culturale.
In questo quadro s’inserisce Te.CAltrove, migrazione sul digitale di
Te.CA_TemporaryCompactArt, la galleria ideata da Gianfranco Neri nel
Dipartimento dArTe dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria. Un
microspazio espositivo di 32x55x23 cm, forse il più piccolo mai esistito,
incassato in un muro di un’area di transito della struttura universitaria,
dove dal 2016 si sono susseguiti mostre e incontri, tentando di lavorare
attorno alla corrispondenza tra microcosmo e macrocosmo. Durante il
lockdown, la galleria ha proposto la mostra digitale Viaggio intorno alla
mia stanza, momento di riflessione sulla condizione pandemica nell’idea
che questa emergenza forse è l’occasione per ripensare alla nostra “umanità.
Architetti, artisti, designer sono stati invitati a condividere l’esperienza
della stantia – come azione del dimorare in un luogo – per tentare
di tracciare un percorso esplorativo tra le molteplici definizioni di abitare
lo spazio domestico e raccontare quel paesaggio disarticolato, che nei
profetici scenari della metropoli globalizzata si stava dissolvendo in spazi
sempre più condivisi e fluidi.
Le opere presentate con cadenza settimanale sul sito della galleria tentano
di comprendere quanto l’attuale condizione pandemica porta a rinomi-nare
gli ambiti del nostro quotidiano, il rapporto tra fisico e virtuale, il
nostro stesso modo di vivere e di interagire con la natura, costringendoci
a ripensare il concetto di privacy e quel confine tra interno ed esterno che
si stava gradualmente riducendo.
Ad aprire Te.CAltrove è Gianpiero Frassinelli che ripropone la Città
2000.t. (1971) dei Superstudio, montaggio di celle dalle pareti permeabili,
nelle quali uno schermo ricettore trasmette gli impulsi cerebrali a un
analizzatore elettronico,una visione profetica del controllo dei desideri dei
singoli che però aspirava a condizioni di eguaglianza. Si legano a questo
immaginario i collage di Carmelo Baglivo e il dispositivo panoptico disegnato
dal team Analogique che mette l’accento sulle contraddizioni tra
sicurezza della salute collettiva e tutela dei dati del singolo individuo.
Un viaggio nello spazio interiore è quello delle Stanze della casa di me di
Beniamino Servino e i collage di Luca Galofaro che durante il lockdown
continua a viaggiare abitando a casa, materializzando ricordi stratificati
attraverso la manipolazione delle immagini del proprio archivio.
Scrivanie come officine del pensiero, sono quelle degli scatti di Carmen
Andriani, Marialuisa Frisa, Gianluca Peluffo e della Stanza fragile di
Luca Molinari, dove oggetti e libri sono come le note di colonne sonore
che provano a sintonizzarsi con il mondo esterno.
Ancora protagonisti sono gli oggetti nella Scatola-teatro di Gianfranco
Neri, entità che disegnano traiettorie di senso a partire dalle loro forme,
materie in cui il riflesso nello specchio ci colloca sul fondale, de-situandoci
direttamente nell’altrove scenico.
La casa come piccola città è invece proposta da Enrico Prandi che pone
l’accento sull’esternità dell’interno, mentre la casa come scrigno di ricordi,
fortezza e cella monastica è quella di Ottavio Amaro che disegna
un microcosmo domestico, ispirato agli interni di Vermeer, dove la ricerca
di recinti individuali riflette sulla relazione tra interno-esterno e
la condizione dello spazio libero. Recinti rotti dalla luce materializzata
di Chiara Coccorese che irrompe nello spazio domestico creando vortici
dinamici.
Anche i disegni di Carlo Prati propongono una riflessione sull’abitare
conseguente alla mutilazione della sfera pubblica, i suoi Orizzonti perduti
rivelano uno scenario distopico che aspira a una rinegoziazione del
rapporto tra architettura e natura. Mentre l’artista Barbara Cammarata
richiama al legame tra la nostra esistenza e le leggi naturali, raffigurando
la mutazione della specie umana e animale.
23 micro-installazioni costruiscono, dunque, una mostra permanente digitale
rafforzando l’idea della galleria Te.CA di fornire uno spazio po-liedrico di
riflessione attraverso l’arte come esperienza quotidiana in un
contesto universitario sempre più sottoposto a una pressione sovra-adattiva
a domande economiche e tecniche.